Matteo ci comunica che il procuratore in Giudea aveva con sè la moglie.
Particolare contestatissimo sino a quando, di recente, si è scoperto che
rispecchia anch'esso una precisa realtà storica. Poco prima dei tempi di Gesù,
Roma aveva autorizzato i suoi rappresentanti a portare con sé la famiglia nelle
province, mentre in precedenza lo vietava.
Continuando con i funzionari imperiali, ecco un altro fatto recente che
coinvolge gli Atti degli Apostoli. Spolpato anch'esso sino all'osso dal bisturi
della critica, quel libro si è rimesso a camminare benissimo, rinfrancato com'è
dai cantieri di scavo aperti nei luoghi dove è ambientato.
L'autore degli Atti (Luca, secondo una tradizione che si riallaccia ai tempi
apostolici) parla al capitolo 13 del responsabile romano di Cipro, chiamandolo
il «proconsole» Sergio Paolo. "Sbagliato! sbagliato!" esclamavano felici i
mitologi. Stando alle usanze imperiali, infatti, il rappresentante a Cipro
avrebbe avuto diritto al titolo di «propretore», non di proconsole. Poi, alcuni
anni fa, la solita iscrizione (trovata stavolta a Pafo, all'estremo occidentale
dell'isola) mostrava una strana anomalia: Sergio Paolo, proprio lui, vi è
chiamato «proconsole». Giusto come affermavano gli irrisi Atti degli Apostoli.
Qui, dunque, siamo persino al di là dell'ipotesi già fantastica del romanzo
storico elaborato a tavolino. Non si vede come gli ipotetici falsari avrebbero
potuto giungere a sapere che il titolo del funzionario di Cipro (e quello
soltanto) non rispettava l'uso ordinario.
Né gli autori del romanzetto avrebbero indicato i capi della città di
Tessalonica come «politarchi». E' questo, un nome sconosciuto all'uso antico,
impiegato soltanto in quel passo dagli Atti. Inventato, dunque, per ammissione
comune. Ora, negli ultimi anni, dagli scavi sono affiorate ben 19 iscrizioni
dove i prefetti di Tessalonica sono appunto chiamati politarchi, distaccandosi
così nel nome da ogni carica sinora conosciuta dell'Impero.
Questi umili Atti ai quali, stando a Guignebert, "basta dedicare ben poca
attenzione per accorgersi che sono poveri nella informazione e incoerenti nel
racconto", in verità sanno un pò troppe cose. Checché ne pensi Donini che,
ancora nel 1975, scrive che la cornice storica degli Atti "è tardiva e di
seconda mano".
In realtà, sanno tra l'altro che i magistrati dell'Asia proconsolare romana che
presiedevano al culto e ai giochi pubblici si chiamavano «asiarchi», a Efeso.
Che, nella stessa città, il Capo municipale, con funzioni anche di pubblico
notaio, era detto il «segretario». Che Claudio Lisia era «tribuno della coorte»
a Gerusalemme sotto il procuratore Felice. Che la regione dell'Acaia, dopo
complicati cambiamenti amministrativi, dall'anno 44 era provincia senatoria e
proconsolare e quindi governata da un «proconsole». Che questi, quando vi giunse
Paolo, si chiamava Gallione...
Sa queste e tante altre cose (tutte puntualmente confermate, molte solo di
recente, dagli storici e dagli archeologi) un testo che il fastidio dello
studioso per i risultati degli scavi che contraddicono le sue tesi chiama
"povero di notizie e incoerente".
Per il prof. Bruce, dell'università di Manchester, là dove descrivono
l'avventuroso viaggio per mare di Paolo verso Roma, gli Atti degli Apostoli si
rivelano "uno dei documenti più sorprendentemente esatti sull'antica arte della
navigazione".
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