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Gerusalemme, ieri e oggi

di Luigi AMICONE

tratto da: Luigi AMICONE, Sulle tracce di Cristo. Viaggio in Terrasanta con Giussani, Rizzoli, Milano 1994, p. 142-149

 


Cos'altro racconta la più che millenaria, drammatica storia della città santa?

Le prime testimonianze archeologiche intorno a Gerusalemme risalgono al terzo millennio. Mentre il primo esplicito riferimento alla città è contenuto in un «testo di esecrazione» egiziano risalente al XX secolo. Attorno al Mille la roccaforte dei Gebusei, venne conquistata da Re Davide. Fu così che Gerusalemme, che mai prima d'allora era stata in possesso del popolo d'Israele, benché si trovasse sul territorio abitato dalle sue tribù, divenne la capitale del nuovo regno. Qui il re trasportò l'Arca dell'Alleanza, il segno della presenza del Dio degli eserciti in mezzo al suo popolo, e Gerusalemme divenne il centro della religiosità ebraica.

Ma la grandezza e lo splendore della città raggiunsero il loro apogeo con il figlio e successore di Davide, Salomone, il sovrano che «aveva 700 principesse per mogli e 300 concubine» (1Re 11,3).

Salomone fu giudicato molto severamente dall'autore del libro biblico dei Re perché «commise quanto è male agli occhi del Signore e non fu fedele al Signore come lo era stato Davide suo padre» (1Re 11,6). Ma re Salomone venne anche celebrato dalla posterità perché fece edificare a Gerusalemme il primo grande tempio elevato all'unico e vero Dio.

Con la morte di Salomone la città conobbe un rapido declino a causa soprattutto dello scisma politico e religioso che si verificò nel Regno d'Israele immediatamente dopo la morte del sovrano.
Il Libro dei Re ricorda che in quella occasione «nessuno seguì la casa di Davide, se non la tribù di Giuda». Così Gerusalemme, da capitale di Israele qual era stata sotto Davide e Salomone, rimase centro politico e religioso per quell'unica tribù.

Durante il Regno di Ozia, e più tardi con Re Ezechia, Gerusalemme tornò a essere capitale della nazione e acquistò tra il popolo la fama di città inespugnabile. Così venne cantata nel Salmo come «altura stupenda... dimora divina... città del grande sovrano» dove «Dio nei suoi baluardi è apparso fortezza inespugnabile».

Solo cento anni più tardi, e precisamente nel 586 a.C., dopo la morte del re buono, Giosia, che aveva nuovamente esteso il suo regno fino ai confini raggiunti da Re Davide e contribuito a dare un grande impulso alla riforma religiosa iniziata con la predicazione del profeta Isaia, il sovrano babilonese Nabucodonosor distruggerà la città e deporterà tutti i suoi abitanti. Si consumava la tragedia della devastazione di Gerusalemme e del suo tempio: «Nabuzardan, capo delle guardie, ufficiale del re di Babilonia, entrò in Gerusalemme, bruciò il Tempio, la reggia e tutte le case di Gerusalemme... Tutto l'esercito dei Caldei che era con il capo delle guardie demolì il muro intorno a Gerusalemme... Deportò il resto del popolo che era stato lasciato in città... e lasciò alcuni fra i più poveri del paese come vignaioli e come campagnoli. I Caldei fecero a pezzi le colonne di bronzo che erano nel Tempio, le basi e il bacino grande di bronzo e asportarono tutto il loro bronzo in Babilonia. Essi presero ancora le caldaie, le palette, i coltelli, le coppe e tutte le suppellettili di bronzo che servivano al culto. Il capo delle guardie prese ancora i bracieri e i bacini, e quanto era d'oro puro e quanto era d'argento puro» (2Re 25,8-15).

Dall'esilio babilonese il popolo d'Israele rientrò dopo cinquantenni, nel 538 a.C., quando Ciro re di Persia occupò la Babilonia e promulgò l'editto con cui permetteva il ritorno in patria L'Israele. Per la storia del popolo ebraico questi anni d'esilio e i successivi al ritorno in patria rappresentano il passaggio decisivo verso una nuova concezione della religione. La promessa di Jahvè non appare più legata al possesso della terra, ma al legame più personale che si esprime nel vincolo dell'alleanza codificato dalla Legge. Israele, ormai ridotto alla sola tribù di Giuda, si stringe attorno alla legge sacra, al sacerdozio e al tempio di Gerusalemme; prende sempre più la fisionomia di una comunità religiosa dispersa. Nasce per il popolo ebraico una nuova epoca, l'epoca chiamata del «Giudaismo». Sarà contro il giudaismo, contro questo piccolo gruppo di credenti che non accettano l'integrazione e il livellamento culturale e religioso imposti ai sudditi dai grandiosi progetti di Alessandro Magno, che si scatenerà la prima persecuzione religiosa che la storia ricordi.

Dai primi decenni successivi al ritorno dall'esilio, anni in cui la principale preoccupazione degli ebrei fu la ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, fino all'occupazione della città compiuta dalle truppe comandate da Pompeo intorno al 63 a.C., non ci sono notizie scritte in base alle quali poter ricostruire la storia della città.

Nel 37 a.C. Erode, eletto dal Senato romano re dei Giudei, occupa Gerusalemme, dove edifica il suo palazzo, la fortezza Antonia, e numerose costruzioni di stile ellenistico. Quindi, allo scopo di ingraziarsi la popolazione, dà inizio all'imponente opera di rifacimento del tempio. Lo storico Giuseppe Flavio narra che per attuare la progettata opera di ricostruzione dell'edificio di culto, Erode fece assumere diecimila operai e, per rispettare la prescrizione per la quale i laici non potevano accedere ai luoghi più sacri del tempio, mille sacerdoti addestrati nel mestiere di muratori. Occorsero più di 50 anni perché i lavori fossero ultimati, ma alla fine l'opera risulterà veramente grandiosa. A suggerire le dimensioni dell'edificio basti qui ricordare che le sole fondamenta erano costituite da enormi blocchi di pietra di lunghezza variabile dai 9 ai 12 metri. Ma a Erode, questo sovrana crudele fino a tal punto che, secondo la testimonianza dello scrittore Macrobio, lo stesso Augusto disse di lui che era meglio essere un suo porco che suo figlio (oltre che la moglie; il cognato e la suocera, Erode aveva infatti fatto uccidere anche i propri figli), non bastò neppure quell'immane impresa a guadagnargli nel presente il favore del popolo, in futuro il buon ricordo della posterità.

Pochi anni dopo, al tempo in cui l'amministrazione della città era nelle mani del procuratore Ponzio Pilato, Gesù venne a Gerusalemme e qui pianse sul tragico destino che si preparava alla città: «Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte; abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai conosciuto il tempo in cui sei stata visitata» (Lc 19,43-44).

I primi segni della profezia di Gesù dovevano avverarsi non molti anni più tardi. Nel 70 d.C., a seguito della prima rivolta giudaica, il grande tempio costruito da Erode venne raso al suolo dalle milizie di Tito. Da allora non venne mai più ricostruito. Ma la profezia ebbe il suo compimento definitivo 50 anni più tardi allorché, nel 132, l'imperatore Adriano, deciso a stroncare una volta per tutte il nazionalismo dei Giudei, fece radere al suolo la città e sulle sue rovine fece edificare una nuova e pagana città a cui diede il nome di Aelia Capitolina. Da allora fu proibito agli ebrei, pena la morte, di entrare nella nuova città. Il divieto fu abolito nel V secolo, grazie soprattutto all'intervento dell'imperatrice cristiana Eudocia, moglie di Teodosio II.

Nel frattempo, grazie all'editto con cui Costantino nel 313 sancisce la libertà di culto per i cristiani, in tutta la Palestina sí sviluppa la vita monastica.

Nel 614 i persiani guidati da Cosroe II occupano e devastano tutti gli edifici religiosi di Gerusalemme, mentre l'invasione araba successiva si mostrò inizialmente rispettosa della libertà di culto.

Fu durante questo periodo di occupazione, attorno al 687, che venne edificata la Moschea di Omar che ancor oggi domina sulla spianata dove un tempo sorgeva il tempio di Gerusalemme. Agli ebrei non rimase che il «Muro Occidentale», o come più comunemente viene chiamato, il «Muro del pianto», che rappresentava (e rappresenta) l'ultimo simbolo di ciò che un tempo fu lo splendore del tempio di Salomone. In epoca crociata vennero ricostruiti i luoghi santi danneggiati e sorsero nuove chiese, monasteri e ospizi. Ma il regno latino in Palestina, iniziato ufficialmente nel 1100 con l'incoronazione di Baldovino I a re di Gerusalemme, durò meno di un secolo. Nel 1187 le orde di Saladino spazzarono via l'esercito crociato e occuparono la città santa. Successivamente e fino al XVI secolo, arabi, latini (ma soltanto per un decennio) e infine i mamelucchi si alternarono al controllo di Gerusalemme. Nel 1516 la città venne occupata dai turchi.

Col tramonto dell'Impero ottomano la protezione dei luoghi santi venne affidata a una rappresentanza diplomatica dei paesi occidentali, mentre il governo turco dichiarava lo «stato quo». Si sanciva così, a riguardo della disputa che da secoli era sorta tra le varie confessioni religiose sulla proprietà dei vari luoghi santi, il mantenimento delle condizioni di fatto. Questo decreto, tutt'oggi in vigore, riguarda soprattutto la comproprietà e quindi la coesistenza delle varie confessioni cristiane nei santuari del Santo Sepolcro, della Natività e dell'Assunzione.

Nel 1920, dopo la caduta dell'Impero turco, l'Inghilterra assunse il mandato su tutta la Palestina, e nel 1948, a seguito della prima guerra arabo-israeliana, Gerusalemme venne divisa in due: la città vecchia (comprendente anche il Muro del pianto) passò sotto il controllo della Giordania, la città nuova venne annessa all'appena sorto Stato di Israele. Nel 1967 a conclusione di una guerra lampo l'esercito di Tel Aviv occupa anche la città vecchia. Da quella data tutta Gerusalemme passa sotto il controllo dello Stato israeliano.

Pasolini vide Gerusalemme all'epoca in cui la città era ancora divisa in due. Ne scrisse, per nulla entusiasta, definendola «una vecchia città di provincia sotto il sole. Una capitale normanna nell'afa del coprifuoco. Una vecchia capitale bieca allegra sopra il Calvario». Come sempre, nella visione del poeta che disse di se «in questo mondo colpevole, che solo compra e disprezza / il più colpevole sono io, inaridito dall'amarezza», c'era sempre, accanto all'amara nostalgia di una purezza originaria che gli appariva definitivamente perduta, il lume della profezia.

«Gerusalemme città edificata come un'unica solida casa» canta il biblico salmista. Una casa che i piani regolatori di questi ultimi vent'anni hanno modificato radicalmente nella sua struttura. Proclamata unilateralmente «capitale eterna e immutabile» di Israele, la città santa è giuridicamente oggetto di contesa politica. Sul piano del diritto internazionale la sua carta topografica risulta ancora attraversata da una «linea verde» che divide la zona occidentale da quella orientale, a tutt'oggi riconosciuta dal consesso internazionale dell'Onu territorio occupato. I palestinesi vorrebbero che Gerusalemme Est divenisse la capitale del loro futuro Stato. Le chiese cristiane e il mondo musulmano insistono perché, una volta risolto il contenzioso politico tra Israele e palestinesi, i soggetti che eserciteranno la sovranità territoriale in Gerusalemme accettino garanzie internazionali per i valori religiosi e culturali della città che interessano tutta l'umanità civile.

Di fatto ogni accordo non potrà non tener conto dell'avvenuta colonizzazione ebraica, della realtà dei nuovi quartieri ebraici sorti nella parte araba (in cui si sono impiantati negli ultimi dieci anni almeno 120mila ebrei), che hanno modificato gli assetti demografici e posto le basi per la realizzazione della Grande Gerusalemme israeliana. Oggi la popolazione cristiana residente a Gerusalemme non supera le 10-11 mila unità.
Piantato nel cuore del quartiere cristiano, il Patriarcato latino cattolico è un'isola di speranza per i 6200 cristiani palestinesi ancora residenti nella Città Vecchia. Ma è una vita sempre più artificiale, precaria e assistita, quella delle loro 1430 famiglie. Abbarbicati alla Custodia di Terra Santa, che li ospita gratuitamente nei 400 appartamenti di sua proprietà e offre loro il modo di sopravvivere col turismo e i commerci religiosi, i cristiani sembrano destinati a una disperata resistenza.

 

 

 


 

 

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