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Cristianesimo e storicità: Resurrezione di Gesù

 

Giovanni vide e credette

di Ignace DE LA POTTERIE

tratto da: 30 Giorni, marzo 1994, p. 62-65.
 

 



La risurrezione nel cap. XX di Giovanni:

Nel capitolo 20 del suo Vangelo il verbo "vedere" ricorre 13 volte. Come disse Paolo VI, se i cristiani non sottolineano il carattere empirico e sensibile delle apparizioni del Risorto corrono il rischio di «trasformare il cristianesimo in gnosi»

Per introdurre l'argomento della storicità della resurrezione di Cristo vorrei menzionare due fatti, uno più recente, un altro più lontano nel tempo. Il primo fatto che dimostra l'importanza del tema è la pubblicazione in Italia di un nuovo libro di W. Marxsen, "Il terzo giorno resuscitò... La resurrezione di Gesù: un fatto storico?" (1992). Cito qualche passaggio di quest'opera: «Non si può credere alla resurrezione come ad un avvenimento accaduto nel passato», scrive Marxsen a pagina 60; «anzi non si può credere assolutamente in un avvenimento, qualunque osso sia». E a pagina 61: «Quando un credente dice: "Io credo nella nascita verginale, credo nei miracoli, credo nella resurrezione", se con queste espressioni intende parlare di fatti realmente accaduti, queste formulazioni sono allora impossibili». Per questo autore l'oggetto della fede cristiana è solo la coscienza di essere riconciliato con Dio; e la resurrezione è solo una realtà di fede. E' la posizione tipicamente protestante della sola fede senza eventi, in fondo la classica posizione di Bultmann.

Il secondo fatto a cui accennavo è stata l'udienza concessa da Paolo VI ai partecipanti ad un Convegno internazionale sulla resurrezione che si svolse a Roma nel 1970. Ad un certo punto il Papa, abbandonando il discorso preparato, disse: «E' importantissimo, signori, sottolineare il fatto empirico e sensibile dell'apparizione pasquale. Se non facciamo questo, noi cristiani corriamo il grande rischio di trasformare il cristianesimo in una gnosi». Anche nel seguito del discorso, che è stato pubblicato, Paolo VI continuava su questa linea parlando di «tentativi di una gnosi sempre rinascente, la cui temibile inclinazione porta ad evacuare insensibilmente tutta la ricchezza e la portata di ciò che è essenzialmente un fatto, la Resurrezione del Salvatore»; e citava come conseguenze pratiche la negazione del valore storico dei Vangeli e l'interpretazione «in modo puramente mitico o morale della Resurrezione fisica di Gesù».

Fatta questa premessa, che ci aiuta a comprendere l'attualità dell'argomento, passiamo ora ad analizzare il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni. Il capitolo è composto da quattro episodi: nel primo (vv. 1-10) Maria Maddalena va al sepolcro e scopre che è vuoto. Porta la notizia ai discepoli, Pietro e Giovanni corrono al sepolcro. Nel secondo episodio (vv. 11-18) Gesù appare alla Maddalena nel giardino vicino alla tomba; lei porterà la notizia della resurrezione ai discepoli. Nel terzo episodio (vv. 19-25) Gesù appare ai discepoli riuniti quando non è presente Tommaso. Nell'ultimo episodio (vv. 26-29), Gesù appare nuovamente, una settimana dopo, ai discepoli: questa volta Tommaso è presente.

Una realtà visibile

Ma è ugualmente importante analizzare le due parole chiave utilizzate da san Giovanni nel capitolo: «vedere e credere». E dunque si può dare questo come titolo di tutto il capitolo: dal vedere al credere. Nell'uso di questi due verbi c'è una significativa progressione. L'uno va verso l'altro ed entrambi crescono insieme. Il padre Donatien Mollat ha scritto in proposito: «Il capitolo progredisce in un movimento continuo verso la proclamazione finale: "Beati quelli che, non avendo visto, hanno creduto"»; e più avanti: «Appare fondamentale in questo capitolo la fede nel Cristo risorto che si basa essenzialmente sulla Scrittura e anche sulla testimonianza di coloro che hanno visto il sepolcro vuoto e hanno visto il Signore vivo». Dal vedere cresce progressivamente il credere. Il verbo "vedere" è usato 13 volte in questi episodi e si passa dalla visione sensibile (verbo blepein) allo sguardo attento e osservatore (verbo theôrein) per arrivare alla visione perfetta, alla consapevolezza, alla contemplazione di ciò che percepisco con gli occhi (verbo horan, usato prima all'aoristo e quindi al perfetto). L'uso del perfetto (heôraka) indica che è avvenuto il riconoscimento, che attraverso la realtà sensibile si è contemplata un'altra realtà. Infatti è il verbo usato dalla Maddalena che corre dai discepoli e dice: «Ho visto il Signore!».

Passiamo ora ad analizzare brevemente i quattro passi evangelici. Nel primo vengono descritti due movimenti: quello di Maria di Magdala che scopre il sepolcro vuoto e corre ad avvertire i discepoli, poi quello di Pietro e Giovanni che corrono verso la tomba di Gesù. Ciò che è interessante è che in entrambi i movimenti troviamo la stessa conclusione. La Maddalena dice: «Il sepolcro è aperto e non sappiamo dove l'hanno posto». Mentre dopo che Pietro e Giovanni sono usciti dalla tomba il Vangelo afferma: «Non conoscevano ancora le Scritture, cioè che egli doveva risorgere dai morti». La conclusione è la stessa, l'ignoranza. Non hanno nessuna idea del fatto che Gesù doveva risorgere. Commenta padre Mollat: «Questo stadio iniziale di impreparazione e come di cecità nei testimoni di fronte alla resurrezione è fondamentale: questa impreparazione radicale non fa che mettere meglio in rilievo la realtà dell'intervento divino e il suo aspetto di atto creatore. La fede pasquale è stata per i discepoli di Gesù come un risveglio». Nell'episodio Pietro entra per primo nel sepolcro e vede solo le cose materiali, poi entra Giovanni «che vide e credette». Secondo molti autori questa di Giovanni è già la fede pasquale. Ma è troppo presto perché ciò sia vero. Giovanni ha solo intuito qualcosa da quei segni, dalle bende ben ripiegate nel sepolcro vuoto. Ma se avesse avuto la fede pasquale, lui e Pietro non sarebbero ritornati a casa loro ed alle loro abituali occupazioni come se niente fosse accaduto. Avrebbero, eccitati, radunato tutti gli altri e avrebbero dato l'annuncio.

L'uso assoluto del verbo «credette» suggerisce piuttosto l'accettazione calma e serena di un mistero in parte ancora inspiegabile, una piena fiducia nell'amore divino. Questa spiegazione è suggerita anche dal fatto che Giovanni afferma nel Vangelo che quella mattina della resurrezione faceva ancora buio. Come mai poteva essere ancora buio ed essere allo stesso tempo visibile l'interno della tomba? Gli altri Vangeli dicono infatti che era l'alba. Ma questa affermazione di Giovanni potrebbe avere un carattere simbolico e significare l'impreparazione dei discepoli, spiegando così il fatto che dopo la scoperta essi tornino a casa. Solo Giovanni, il discepolo amato, ha intuito qualcosa. E' inquieto, ma non ha ancora capito. Perciò traduciamo: «Cominciò a credere».

«Ho visto il Signore!»

Nel secondo episodio del capitolo «Gesù appare a Maria Maddalena. E' un progresso rispetto a prima, quando c'erano solo dei segni. Adesso dai segni si passa alla presenza fisica di Gesù, una presenza che però non viene subito riconosciuta dalla donna. Il centro dell'episodio è la trasformazione dello sguardo di Maria che è passata dal constatare che la pietra del sepolcro è rotolata via (blepein) allo sguardo attento verso quest'uomo, in apparenza un giardiniere (theôrein); quando lo ha riconosciuto, lo chiama ancora «Maestro», come nel passato, e vuol quindi trattenerlo. Solo allora però risuona dalla bocca di Gesù il messaggio pasquale: «Non sono ancora salito al Padre, ma va' a trovare i fratelli e dì loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». E' Maria porta l'annuncio: «ho visto il Signore!» (heôraka, al perfetto); non più «il Maestro», ma «il Signore».

Nel terzo episodio del capitolo Cristo appare per la prima volta ai discepoli riuniti. Ora non si tratta più di un uomo che sta in un giardino; qui il Signore appare a porte chiuse (un aspetto sottolineato due volte): è una vera cristofania. Siccome viene dal mondo trascendente, non è ostacolato dalle porte chiuse. Gesù non ha più contatti con la città e con il giudaismo, viene dall'alto: è l'inizio della Chiesa. Prende posto in mezzo ai discepoli, un segno che rimane presente nella sua Chiesa. Mostra loro le piaghe: il ricordo della passione non è cancellato ma è attualizzato nella Pasqua. Poi Giovanni dice che «alitò» su di loro. E' un verbo utilizzato anche per la creazione nella "Genesi". Cristo fa di loro delle nuove creature. Non è ancora il dono della Pentecoste, ma l'infusione della fede pasquale, che ricrea i discepoli come credenti, come nuove creature: possono adesso cominciare la loro missione apostolica.

Nell'ultimo episodio Gesù riappare ai discepoli una settimana dopo. Adesso c'è anche Tommaso, assente la prima volta. L'inizio è lo stesso, la vera novità è costituita dalla presenza di Tommaso, che riveste qui un duplice ruolo: essendo «uno dei Dodici» deve aver visto il Signore risorto; ma d'altra parte, lui è anche uno di quelli che non l'ha visto la prima volta e quindi rappresenta un pò tutti noi. Così il caso di Tommaso prefigura l'atteggiamento di tutti i credenti. Perciò vale per tutti l'invito: «Diventa un uomo di fede». Ma poi Gesù dice: «Perché mi hai visto, Tommaso, hai creduto», e l'evangelista utilizza due volte il perfetto. Ma viene rimproverato da Gesù perché avrebbe già dovuto credere per la testimonianza degli altri discepoli, i quali a loro volta avevano creduto a ciò che aveva detto loro la Maddalena.

Credere sui segni

Gesù dice allora all'apostolo: «Beati coloro che senza aver visto hanno creduto». Su questo versetto c'è molta confusione. Per Bultmann e per Marxsen sarebbe una critica radicale all'importanza dei segni e dell'apparizione pasquale del risorto. Una apologia della fede privata di ogni appoggio esteriore. Il fedele non deve vedere i segni come fatti storici ma come una rappresentazione simbolica che serve a far comprendere l'efficacia della croce. Allora la resurrezione non c'è! Ma un'altra lettura sbagliata è anche quella che traduce: «Beati coloro che senza aver visto crederanno». Non è corretto tradurre con un futuro. Ci sono due verbi all'aoristo, e in tutti gli altri casi di aoristo utilizzati da Giovanni questi hanno valore di anteriorità. Gesù si riferisce quindi al passato ed è questa la ripresa di quanto è accaduto all'inizio del capitolo, cioè il fatto che i discepoli hanno cominciato a credere già sui segni e poi anche sulla testimonianza degli altri senza avere visto il risorto. [...]


 
 

 

 


 

 

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