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Sommario:
All'indomani della morte di Eluana
Englaro, ci spiace dover riscontrare una grande carenza da parte di
coloro che l'hanno seguita nel suo tragico percorso. Nessuno, infatti,
ha saputo utilizzare delle tecniche che esistono da anni, per cercare di
comunicare con lei, al fine di conoscere il suo volere al riguardo di
ciò che si doveva fare nei confronti della sua stessa vita. Ci
auguriamo che questo breve interevento possa fornire qualche
suggerimento utile e una possibilità di speranza in più, per coloro che
assistono una persona in coma (dr. Mario Rizzi).
Provava emozioni,
dunque ha sofferto 
Tratto dal quotidiano
Avvenire, del 12 febbraio 2009.
Nei cosiddetti "stati vegetativi" la morte per
disidratazione fa soffrire? Sì, secondo i genitori di Terry Schiavo, che
hanno assistito all'agonia della figlia, anch'essa in stato vegetativo e
anch'essa condannata alla morte. Eluana Englaro è morta da sola prima del
previsto e non abbiamo narrazioni di quel momento.
La domanda sulla sofferenza del morire nello stato
vegetativo può sembrare ingenua. In realtà ruota intorno ad un quesito
drammatico. Chi versa in uno stato vegetativo "prova" qualcosa? Oppure
vive in una sorta di totale sospensione, in una specie di buio
dell'esistenza-non esistenza? Secondo la scienza la risposta è: non lo
sappiamo. Secondo il padre di Eluana, no, non "prova" nulla. Secondo i
genitori di Terry Schiavo, sì. Secondo le suore che hanno assistito Eluana
Englaro per 17 anni, sì. Secondo molti genitori che hanno in casa figli
nelle stesse condizioni in cui era Eluana, sì.
Le testimonianze si susseguono in modo impressionante. I
genitori, i fratelli, coloro che assistono le persone in stato vegetativo
concordano nel dire che sì, una forma peculiare, sottile, magmatica di
vita di relazione c'è. Il loro caro riconosce la presenza, si emoziona
alle carezze, muove gli occhi per comunicare qualcosa, insomma "prova"
qualcosa, c'è, è in relazione, partecipa alla vita della famiglia. Non c'è
dubbio: si tratta di relazioni speciali, decodificabili solo all'interno
di un amore indistruttibile, che spinge il caregiver a prendersi cura del
malato riuscendo a riconoscerlo come persona e non come un corpo
vivo-morto, oggetto solo di manipolazioni
In Italia sono circa 3.000 le persone come Eluana Englaro,
che spesso vivono in casa e, secondo i loro parenti, "partecipano" alla
vita della famiglia. Se dunque anche nello stato vegetativo è possibile
rintracciare una qualche forma di vita relazionale e percepire i segni di
uno sconosciuto abisso emozionale, allora non c'è dubbio: anche in questo
caso la morte per fame e per sete è una morte terribile, proprio come
testimoniano i genitori di Terry Schiavo, una morte che si accompagna
anche a reazioni fisiche che possono essere ricondotte a una sorta di
"ansia". Non a caso è una morte che prevede la somministrazione di
sedativi, in grado di spegnere anche l'ultimo barlume di reattività (o di
vitalità?) della persona.
"Se succede a me,
portatemi dalle suore". 
Tratto da: http://www.viveremeglio.org/sos-coma/%22http://www.culturacattolica.it/default.asp?id=17&id_n=13791"
Autore: Dott. Alfredo Corticelli - Curatore: Don Gabriele Mangiarotti.
Fonte: CulturaCattolica.it 11 febbraio 2009.
È con grande dispiacere abbiamo appreso, io e mia moglie, la
notizia della morte di Eluana Englaro. Mentre esprimiamo la nostra
vicinanza al padre Beppino, della cui buona fede e del cui affetto nei
confronti della figlia siamo certi, non possiamo non essere rattristati
per l'operato di molte persone che lo hanno affiancato. Mi riferisco
soprattutto ai giudici, ad alcuni politici, ai medici e al personale
infermieristico della casa di cura in cui si è spenta Eluana.
Non sono addentro alle questioni giuridiche, ma quello che
mi ha deluso è l'atteggiamento di chi, con la legge, abbia preteso di
definire cosa è vita e cosa no, cosa valga o non valga la pena di essere
vissuto. Se la persona non viene prima del diritto, se compito del
magistrato è di sostituirsi al delicato compito del medico e decretare con
una sentenza legittimo ciò che razionalmente non lo è, tutto questo credo
sia un modo veramente riduttivo di concepire il proprio impegno lavorativo
e sociale.
Ma lo dico ancora di più come medico. Sono profondamente
dispiaciuto da quanto è stato detto da una parte della classe medica.
Quando ho letto le dichiarazioni di eminenti colleghi, come lo stesso
professor Veronesi, quando ho sentito l'intervista della televisione
all'anestesista Della Vedova, che ha dichiarato che "Eluana è morta 17
anni fa", ebbene, mi sono chiesto se, per quanto più giovane di loro,
facciamo lo stesso mestiere e se abbiamo studiato la stessa disciplina.
Non parlo da una prospettiva di fede, ma puramente di dati della realtà,
di ragione. Come si può pensare che non sia un gesto aberrante dal punto
di vista medico sospendere l'idratazione e l'alimentazione a una persona
in stato vegetativo permanente e stazionaria? Come si può pensare che
questo sia prendersi cura?
Prima di iniziare la scuola di specializzazione in
cardiologia ho fatto alcuni turni notturni in una clinica di Carate
Brianza in cui vi è un'unità che ospita pazienti in coma. Ricordo ancora
la notte in cui al mio primo turno mi chiamarono per una paziente in coma
che aveva 38° C di febbre... era la prima volta che mi trovavo di fronte a
una paziente così: non cosciente, dotata di movimenti riflessi. Non capivo
molto, ma una cosa mi era chiara: quella persona aveva una dignità,
seppure in quello stato.
E l'altra cosa che capivo era che il fisico mostrava che era
in una condizione di sofferenza. Non ho avuto dubbi sull'introdurle in
terapia una copertura antibiotica, non mi è sembrato per nulla accanimento
terapeutico, era una misura proporzionata alla condizione di quella
persona. Avrebbe forse risposto, forse no, forse l'antibiotico
nefrotossico avrebbe determinato una insufficienza renale ed accelerato
l'exitus, questo non dipendeva da me, era la risposta che il suo corpo
avrebbe dato a quella condizione.
Una settimana dopo, constatai felicemente che la signora non
aveva più edemi alle braccia e la febbre era andata via. Allo stesso modo,
quando un paziente con un'insufficienza cardiaca terminale, circa un anno
fa dopo aver smesso di urinare, è andato in edema polmonare... di fronte
ad un paziente così, che stava soffocando, e dove era evidente che questo
era il momento terminale della sua patologia, non ho esitato nella
percezione della necessità di togliergli il sintomo soffocamento
somministrandogli della morfina. Il paziente è morto nel giro di
un'ora.
Di fronte a un paziente neoplastico terminale, o
cardiopatico terminale, è ragionevole non avviare una rianimazione, il
medico deve avere l'onestà di riconoscere che la vita ha una fine. Ma come
non comprendere che è ben diverso dall'accelerare la fine, dal sospendere
idratazione ed alimentazione ad un paziente stabile, gravemente
compromesso nelle sue funzioni cerebrali superiori, ma stabile.
Quando hai rianimato un paziente, se poi rimane in stato
vegetativo persistente, o in coma, se è stazionario, non puoi decidere tu
di sospendere tutto. Se Eluana avesse avuto un arresto cardiaco, una
complicanza acuta che l'avesse avviata alla morte, sarebbe stato
ragionevole non accanirsi in inutili rianimazioni. Ma come pensare che
questo equivalga ad averle sospeso nutrizione ed idratazione? Come non si
rendono conto alcuni medici come me che questo è oggettivamente una
medicina contro e non a favore della persona?
Qual è il compito di noi medici: assistere e curare i
pazienti, oppure decidere noi quando e come la vita non è più degna di
essere vissuta? A me una medicina così fa molta paura. Che speranza c'è di
fronte a una vicenda così? Per me l'unica speranza è quella che hanno
portato e che portano le suore, che portano persone che `gratuitamente
hanno amato ed amano Eluana e che evidentemente hanno visto qualcosa che
altri non vedevano. La persona era la stessa, ma loro avevano uno sguardo
diverso, vedevano cose reali, che per alcuni non esistono, ma che ci sono.
Stasera mia moglie mi ha ripetuto: se succede a me una cosa così, portami
dalle suore. Io voglio imparare a fare il medico dalle suore.
Dottor Alfredo Corticelli.
CON LE
PERSONE IN COMA È POSSIBILE COMUNICARE
La Stimolazione
basale al malato critico 
Testo tratto da: www.basale-stimulation.de/seiten/DG09.HTM
Articolo tratto da: Pflegezeitschrift (rivista infermieristica).
Casa editrice W. Kohlhammer, Stoccarda, Germania. Anno 52 Aprile
1999 - ISSN 0945-1129 - Pagg. 257-261.
Offrire al paziente una comunicazione elementare
di Peter Nydahl. (traduzione italiana a cura di Rossana Buono e
Jürgen Wildner).
La Stimolazione Basale è un concetto di assistenza, accompagnamento e
incoraggiamen-to per pazienti in condizioni gravissime. Fu elaborato dal
pedagogista specializzato Andreas Fröhlich negli anni settanta lavorando
con bambini con handicap multipli fisici e psichici. In un secondo momento
il concetto venne trasferito, in collaborazione con Christel Bienstein, al
campo dell'assistenza infermieristica.
La Stimolazione Basale non è una tecnica infermieristica nuova, ma un
metodo professionale di rapportarsi con persone con disturbi della
coscienza. Non si tratta di provvedimenti infermieristici aggiuntivi, ma
del voler strutturare l'assistenza infermieristica, come era finora, in un
modo diverso. La seguente relazione vuole dimostrare quali possibilità
questo concetto racchiude per i malati in terapia intensiva. Specialmente
in questo ambito la Stimolazione Basale offre a infermieri e pazienti modi
d'agire soddisfacenti e utili.
Per continuare la lettura clicca
qui.
La "Stimolazione Basale" in Italia oggi
Teresa Wysocka lavora come pedagogista specializzata e esperta in
Stimolazione Basale nella Fondazione Robert Hollman a Cannero Riviera
(VB). La fondazione lavora nel campo della riabilitazione in bambini con
deficit visivo. Adoperando il concetto nel suo lavoro con i bambini Teresa
Wysocka dirige anche dei corsi di Stimolazione Basale secondo il metodo
del prof. A. Fröhlich, Germania: "Con questi corsi ci indirizziamo a
educatori, pedagogisti, terapisti che sono coinvolti in un intervento
riabilitativo, di accompagnamento e di sostegno per le persone con grave
handicap. Le "Stimolazioni Basali" si rivolgono a bambini, adolescenti ed
adulti non autonomi che percepiscono e comunicano con il mondo esterno
solo attraverso il loro corpo."
Per ulteriori informazioni rivolgersi alla: Fondazione Robert
Hollmann, Via Oddone Clerici, 6 28821 Cannero Riviera (VB) Tel.
0323-78.84.85 - Fax: 0323-78.81.98. E-mail: info@fondazionehollman.it
- Sito: http://www.fondazionehollman.it/
L'opera di Amy e Arnold
Mindell 
Molti processi patologici gravi o situazioni che portano
vicino alla morte, generano spesso una condizione in cui il soggetto
rimane in coma o è profondamente confuso. Questi stati alterati della
coscienza diventano spesso difficili da gestire per i familiari o I
professionisti che devono interagire col malato.
A loro supporto vi sono delle nuove ricerche che
suggeriscono come i pazienti in stato comatoso possano percepire ciò che
accade intorno a loro, ma non siano in grado di rispondere nei modo
convenzionali. Le loro possibilità espressive si limitano infatti a
frammenti comportamenti e segnali di minima entità.
Arnold Mindell ha sempre creduto che i pazienti in coma sono
interiormente coscienti. Con la collaborazione di sua moglie Amy ha
sviluppato un metodo per comunicare con i pazienti in coma, usufruendo
della loro ridottissima capacità di emettere dei segnali di risposta.
Questo metodo, chiamato "Process Work", cerca delle vie
d'accesso nelle esperienze interiori del paziente. Dei minimi cambiamenti
o movimenti corporei, cambi nella frequenza o nella profondità del respiro
e minimi movimenti facciali, vengono usati per sviluppare un dialogo
interattivo ed assistere i processi intimi che il paziente sta
sperimentando.
Da un punto d'osservazione, decisamente unico e vantaggioso,
il Process Work vede la vita come una ricerca di auto-consapevolezza, ed
il coma come una forma di vita eccezionale, ma pur sempre significativa.
Le procedure legate al Process Work sono descritte nei volumi Coma:
Key to Awakening di Arnold Mindell e Coma:
a Healing Journey, di Amy Mindell. I libri citati si possono
acquistare in http://www.amazon.com/
cliccando sul loro nome.
Il processo
orientato "Coma Work" 
Brano tratto da: http://en.wikipedia.org/wiki/Process_Oriented_Coma_Work
Obiettivi e metodo di lavoro
Il Coma Work parte dal presupposto che il paziente, seppur
in coma, sia in grado di percepire e di relazionarsi ad esperienze
interiori ed esteriori, non importa quanto minima sia questa sua azione.
Il Professionista di Coma Work, cerca perciò di scoprire i possibili
canali con cui il paziente può comunicare, e quindi li utilizza per
acquisire quanto il paziente riesce a trasmettere.
I canali di comunicazione possono essere identificati
notando i piccoli, a volte minimi, segnali da parte del paziente. Essi si
possono presentare sotto forma di movimento corporeo, movimento degli
occhi, espressioni facciali, vocalizzazione o altro. Il professionista
tenta di interagire con il paziente cercando di utilizzare,
amplificandoli, questi segnali. Durante questo lavoro il professionista
viene guidato dai feedback provenienti dal paziente.
Ad esempio, se il professionista si unisce alla
vocalizzazione del paziente, magari aggiungendo un po' di modulazione
supplementare, questi può rispondere cambiando la propria vocalizzazione.
Inoltre, il professionista può tentare di stabilire dei movimenti
particolari con cui il paziente può esternare la sua risposta, e quindi
chiedere al paziente di utilizzarli per rispondere. Potrebbe proporgli, ad
esempio, di utilizzare il movimento di una palpebra o di un dito, per
rispondere "sì" o "no" alle sue domande.
Un comune, anche se spesso irraggiungibile obiettivo del
Coma Work, è quello di far uscire il paziente dallo stato comatoso. Anche
se ciò talvolta è successo, non è comunque l'obiettivo finale di questo
tipo di approccio. Ulteriori obiettivi sono quelli di aiutare il paziente
di comunicare in qualunque modo gli sia possibile, facilitandogli in
questo modo la partecipazione alle decisioni riguardanti la sua cura ed il
mantenimento della sua vita. Amy Mindell distingue due serie di
interventi: quelli utilizzabili dalla famiglia e dagli amici del paziente,
e una serie più completa che potrà essere utilizzata dal professionista
debitamente addestrato.
Gamma di applicazioni
Il Coma Work è stato utilizzato con pazienti in stato di
coma vegetativo persistente. È un approccio che si rivela particolarmente
utile con i pazienti prossimi al decesso, dal momento che permette loro di
prendere decisioni in merito alla loro condizione. Ad esempio, stabilire
il compromesso tra la quantità di stupefacenti che ricevono i farmaci e
l'opacità della coscienza che può verificarsi a causa dei medesimi.
Nota di www.viveremeglio.org
Vi è stata una persona che, con grandissima pazienza è riuscita persino
a fare una breve intervista al malato. In pratica ha creato le parole, una
per una, recitando l'alfabeto dall'inizio dopo ogni volta che il paziente,
con il movimento di una palpebra, aveva segnalato che l'ultima lettera
detta era da aggiungere a quelle scelte in precedenza per formare una
parola.
Note sulla
terminologia 
Tratto da: www.foai.it/foaipubblico/jsp/testi/default_one.jsp?id_testo=12016890071210
Un’ultima nota merita la confusione terminologica tra Coma, Stato
Vegetativo, Stato di Minima Coscienza e Morte Cerebrale.
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Coma è un termine che va riservato alla fase acuta
(prime 3/4 settimane) e definisce una condizione in cui il paziente è ad
occhi chiusi, non risponde ad ordini semplici e non proferisce alcuna
parola comprensibile.
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Lo Stato Vegetativo è una condizione che segue la
fase acuta e che corrisponde ad uno stato in cui il paziente riapre gli
occhi ma non recupera la coscienza (non esegue ordini semplici), anche
se recupera il ritmo sonno-veglia. Questa condizione può durare un tempo
che va da un mese ad una condizione permanente. Naturalmente più è lunga
la durata dello Stato Vegetativo, minori sono le possibilità di
recupero.
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Lo Stato di Minima Coscienza è una condizione in
cui il paziente è in grado di eseguire ordini semplici ma in maniera
incostante e fluttuante. Anche questa condizione può rappresentare una
fase transitoria o permanente.
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La Morte Cerebrale è una condizione che riconosce
la cessazione di tutte le attività cerebrali, in base al giudizio di una
commissione di esperti che segue il monitoraggio del paziente
precedentemente comatoso, per almeno 24 ore, attraverso
l’elettroencefalogramma in continuo e i Potenziali evocati ripetuti.
Questo monitoraggio non ha margini di errore e la confusione
terminologica con il coma o lo Stato Vegetativo possono portare a gravi
conseguenze, come la riduzione della disponibilità dei donatori di
organi a consentire trapianti, che permettono ad altri di continuare a
sperare e a vivere.
Siti per
approfondire 
www.foai.it/foaipubblico/jsp/testi/default_one.jsp?id_testo=12016890071210
Lingua inglese
www.processwork.org/coma.htm
www.aamindell.net/process-work-history.htm
www.garyreiss.com/comainterview.htm
http://health.howstuffworks.com/coma.htm
www.ufodigest.com/news/0107/coma.html
www.comacommunication.com/sharing_cc_and_community.htm
www.processwork.org/comareview.htm
(recensione libro).
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