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Vegetariani? Una lunga storia

Tratto da www.lastampa.it   

Ricerca a cura di Nunzio Barone

 

 

 

Gandhi e Hitler fra gli adepti del cibo «senza sangue»

MAURIZIO MOLINARI CORRISPONDENTE DA NEW YORK

 

 

 

 

Quando nel XVII secolo i viaggiatori europei tornano dall’India raccontano storie di antiche società senza carne, dove l’alimentazione è solo a base di frutta, vegetali e latte. Innescano così in Occidente una crisi di coscienza che porta Thomas Tryon a creare a Londra un club sul modello indù, raccogliendo un successo che lo induce a scrivere il libro grazie al quale converte al vegetarianesimo Benjamin Franklin, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America. È questa la genesi di un’abitudine alimentare che il giovane storico dell’Università di Cambridge, Tristam Stuart, racconta nel tomo The Bloodless Revolution (La rivoluzione senza sangue) uscito nelle librerie degli Stati Uniti per i tipi di W.W. Norton & Company. L’attenzione che raccoglie nasce non solo dal dilagare delle abitudini vegetariane ma anche dalle novità disseminate nelle 630 pagine.

Furono gli scritti di Franklin, assieme a quelli del filosofo Jean-Jacques Rousseau, a far scaturire una generazione di vegetariani fra l’America e l’Europa che ebbe molti e differenti volti: da John Zephaniah Holwell, governatore britannico di Calcutta, che si definiva metà indù e metà cristiano a luminari della medicina come George Cheyne che rafforzarono il vegetarianesimo con motivazioni scientifiche sull’opportunità di seguire diete basate sul consumo di «latte e semi». Cartesio, Rousseau, Voltaire e Shelley arrivarono per strade diverse a porsi l’identica domanda sull’opportunità di mangiare carne spingendosi fino a rileggere e reinterpretare l’Antico Testamento lì dove la Genesi parlando del dominio dell’uomo sugli animali non fa esplicito riferimento al dovere - e neanche alla possibilità - di consumarli.

Alla fine del XVIII secolo il vegetarianesimo era oramai apertamente sostenuto da medici, filosofi, scrittori e politici. Fu quella la genesi di una interazione fra cultura occidentale e induismo che avrebbe portato nel Novecento ad essere vegetariani personaggi espressione di visioni della vita e del mondo assai differenti come il precursore della contemporanea non-violenza Mahatma Gandhi, l’artefice dell’Olocausto Adolf Hitler ed il romanziere russo Leo Tolstoj. Diversi in tutto, Gandhi e Hitler rappresentano due visioni opposte della convergenza fra politica ed ecologia.

L’artefice dell’indipendenza indiana cresce in una setta rigidamente vegetariana della casta Bania nello Stato del Gujarat ed è lui che riporta il rifiuto di mangiare la carne in patria rifiutando i modelli alimentali occidentalizzanti frutto del colonialismo britannico. Il vegetarianesimo diventa la prima battaglia politica del giovane Gandhi durante gli anni degli studi londinesi, perché identifica in questa scelta alimentare un possibile ponte culturale fra Occidente ed Oriente. Nella capitale dell’Impero che opprime l’India Gandhi trova infatti proprio nella «Vegetarian Society» un luogo dove si sente uguale agli altri, portatore di valori condivisi ed accettati dai non-indù.

Hitler spinge il nazismo verso il vegetarianismo attraverso un’altra strada: la convinzione che per purificare la razza umana dalle contaminazioni subite nel corso dell’evoluzione bisogna recuperare quella che nel
Mein Kampf
definisce la «forza ecologica». Tristam Stuart ammette che «forse è una verità scomoda per i vegetariani» ma da storico di razza non si fa condizionare e, aneddoto dopo aneddoto, ricostruisce come Hitler era vegetariano, Himmler riteneva che esserlo allungasse la vita e Goebbels si confessava attirato dalla tesi secondo cui «le scimmie da cui discendiamo erano e sono strettamente vegetariane».

Dopo aver descritto un mosaico di diverse identità vegetariane che attraversa la nostra Storia, nelle ultime righe del libro è l’autore stesso che spiega il motivo per cui lui ha scelto di esserlo: «L’argomento più forte contro il consumo di carne è che somma il rispetto nei confronti degli animali alla tutela dell’ambiente, ovvero l’interesse degli esseri umani» come dimostra il fatto che le foreste dell’Amazzonia vengono distrutte per fare spazio a coltivazioni di semi di soia utilizzati per alimentare bovini e suini destinati a finire sui piatti dei benestanti consumatori occidentali e cinesi.
 

 

 

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