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LA MEDITAZIONE (3/3)

 

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Meditare come Abramo

Fin qui, l'insegnamento del monaco era di ordine naturale e terapeutico. Gli antichi padri, secondo la testimonianza di Filone Alessandrino, erano in effetti dei "terapeuti". Il loro ruolo, prima di condurre all'illuminazione, era di guarire la natura, di metterla nelle migliori condizioni per poter ricevere la grazia, poiché la grazia non contraddice la natura, ma la reintegra e la completa.

Fin qui, l'insegnamento del monaco era di ordine naturale e terapeutico. Gli antichi padri, secondo la testimonianza di Filone Alessandrino, erano in effetti dei "terapeuti". Il loro ruolo, prima di condurre all'illuminazione, era di guarire la natura, di metterla nelle migliori condizioni per poter ricevere la grazia, poiché la grazia non contraddice la natura, ma la reintegra e la completa.

È ciò che faceva il vecchio monaco con il giovane filosofo, insegnandogli un metodo di meditazione che certi avrebbero potuto considerare come "puramente naturale". La montagna, il papavero, l'oceano, l'uccello. Altrettanti elementi della natura che ricordano all'uomo, che prima di andare lontano, deve cogliere i diversi livelli dell'essere, o meglio i diversi regni di cui è composto il macrocosmo. Il regno minerale, il regno vegetale, il regno animale.

L'uomo ha perso il contatto con il cosmo, con la roccia, con gli animali e questo non senza provocare in lui ogni sorta di malesseri: malattie, insicurezza, ansietà. Egli si sente "di troppo", estraneo al mondo.

Meditare è prima di tutto entrare nella meditazione e nella lode dell'universo, perché, dicevano i padri, "tutte queste cose sanno pregare prima di noi". L'uomo è il luogo dove la preghiera del mondo prende coscienza di se stessa.

L'uomo esiste per dare un nome a ciò che le creature lodano balbettando. Con la meditazione di Abramo, noi entriamo in una nuova e più alta coscienza , che si chiama fede, ossia l'adesione dell'intelligenza e del cuore a quel "TU" che "E'", che traspare nella molteplice intimità di tutti gli esseri.

Tali sono l'esperienza e la meditazione di Abramo: dietro il fremito delle stelle vi è qualcosa di più che le stelle, una "Presenza" difficile da nominare, che nessuno può chiamare per nome e che tuttavia ha tutti i nomi.

È qualcosa di più dell'universo e che tuttavia non può essere compreso se non nell'universo. La differenza fra Dio e la natura è la differenza che vi è fra l'azzurro del cielo e l'azzurro di uno sguardo. Al di là di tutti gli azzurri, Abramo era alla ricerca di quello sguardo.

Dopo aver appreso la positura tranquilla e immobile, l'abbarbicamento, il positivo orientamento verso la Luce, il respiro degli oceani, il canto interiore, il giovane era invitato ad un risveglio del cuore. "Ecco, tutto ad un tratto sei qualcuno".

È proprio del cuore, effettivamente, personalizzare ogni cosa e, in questo caso, personalizzare l'Assoluto, la Sorgente di tutto ciò che vive e respira, darle un nome, chiamarla "Mio Dio, Mio Creatore" e camminare alla sua presenza. Per Abramo meditare è mantenere il contatto con questa "Presenza" sotto le apparenze più svariate.

Questa forma di meditazione entra nei dettagli concreti della vita di ogni giorno.

L'episodio della quercia di Mamre, ci mostra Abramo "seduto all'entrata della tenda, nell'ora più calda del giorno", e là accoglie tre stranieri che si rivelano essere degli inviati di Dio. "Meditare come Abramo, diceva Padre Serafino, è praticare l'ospitalità; il bicchiere d'acqua che dai a colui che ha sete non ti allontana dal silenzio, ma ti avvicina alla sorgente".

"Meditare come Abramo non soltanto risveglia in te la pace e la Luce, ma anche l'Amore per tutti gli uomini". E Padre Serafino gli lesse quel famoso passo dal libro della Genesi, dove si parla dell'intercessione di Abramo. Abramo stava davanti a YHWH, "Colui che è – che era – che sarà", gli si avvicinò e disse: "Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai quel luogo, per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?.

Poco dopo Abramo dovette ridurre il numero dei giusti perché Sodoma non venisse distrutta. "Non si adiri il mio Signore se parlo ancora una volta sola; forse là se ne trovano dieci." (Gen.18,23)

Meditare come Abramo vuol dire intercedere per la vita degli uomini, non ignorare nulla della loro putredine e tuttavia "mai disperare della misericordia di Dio". Questo genere di meditazione libera il cuore da ogni giudizio e da ogni condanna, sempre e ovunque; pur di fronte a infiniti orrori, egli chiede sempre perdono e benedizione.

Meditare come Abramo conduce ancora più lontano. Le parole facevano fatica a uscire dalla gola del Padre Serafino, come se questi avesse voluto risparmiare al giovane un'esperienza attraverso la quale lui stesso era stato costretto a passare e che ridestava nella sua memoria un sottile tremore: "Ci può condurre fino al Sacrificio." egli citò il passo della Genesi in cui Abramo si mostra pronto a sacrificare il proprio figlio Isacco.

"Tutto appartiene a Dio, continuò in un mormorio Padre Serafino. Tutto è suo, viene da lui ed è per lui"; meditare come Abramo ti conduce alla totale spoliazione di te stesso e di ciò che hai di più caro, qualcosa a cui tieni particolarmente, con cui identifichi il tuo io".

Per Abramo si trattava del suo unico figlio; se tu sei capace di questo dono, di questo totale abbandono, di questa infinita fiducia in Colui che trascende ogni ragione e ogni buon senso, tutto ti sarà reso al centuplo: "Dio provvederà".

Meditare come Abramo è avere nel cuore e nella coscienza "nient'altro che Lui". Quando salì in cima alla montagna Abramo pensava solo a suo figlio. Quando ridiscese non pensava che a Dio. Passare attraverso la vetta del sacrificio e scoprire che niente appartiene all'IO. Tutto appartiene a Dio.

È la morte dell'ego e la scoperta del SE'. Meditare come Abramo è aderire con la fede a Colui che trascende l'universo, è praticare l'ospitalità è intercedere per la salvezza di tutti gli uomini. È dimenticare se stessi è spezzare i legami, anche i più legittimi, per scoprire se stessi, il nostro prossimo e tutto l'universo abitato dalla presenza infinita di "Colui che, solo È".

 

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Meditare come Gesù

Padre Serafino si mostrava sempre più discreto. Sentiva i progressi che il giovane faceva nella meditazione e nella preghiera. Molte volte lo aveva sorpreso, il viso bagnato di lacrime, a meditare come Abramo, intercedendo per tutti gli uomini, "Mio Dio, mia misericordia, che cosa sarà dei peccatori?"

Il giovane un giorno venne a lui e gli chiese: "Padre, perché non mi parlate mai di Gesù? Quale era la sua preghiera personale, la sua forma di meditazione? Nella liturgia, nei sermoni non si parla che di lui. Nella preghiera del cuore, quale se ne parla nella Filocalia, occorre invocare il suo nome. Perché non me ne dite nulla?

Padre Serafino sembrò turbato. Come se il giovane gli domandasse qualcosa di indecente, come se fosse costretto a rivelargli il suo segreto. Più grande è la rivelazione che si è ricevuta, più grande deve essere l'umiltà per trasmetterla.

Padre Serafino si mostrava sempre più discreto. Sentiva i progressi che il giovane faceva nella meditazione e nella preghiera. Molte volte lo aveva sorpreso, il viso bagnato di lacrime, a meditare come Abramo, intercedendo per tutti gli uomini, "Mio Dio, mia misericordia, che cosa sarà dei peccatori?"

 

Il giovane un giorno venne a lui e gli chiese: "Padre, perché non mi parlate mai di Gesù? Quale era la sua preghiera personale, la sua forma di meditazione? Nella liturgia, nei sermoni non si parla che di lui. Nella preghiera del cuore, quale se ne parla nella Filocalia, occorre invocare il suo nome. Perché non me ne dite nulla?

Padre Serafino sembrò turbato. Come se il giovane gli domandasse qualcosa di indecente, come se fosse costretto a rivelargli il suo segreto. Più grande è la rivelazione che si è ricevuta, più grande deve essere l'umiltà per trasmetterla.

Indubbiamente egli non si sentiva abbastanza umile: "Questo, soltanto lo Spirito Santo può insegnartelo. Nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare (Lc 10,22). Devi diventare figlio per pregare come il Figlio e avere con Colui che Egli chiama suo e nostro Padre le stesse relazioni d'intimità, e questa è opera dello Spirito Santo. Egli ti ricorderà tutto ciò che Gesù ha detto. Il Vangelo diventerà vivo in te e ti insegnerà a pregare nel modo giusto".

Il giovane insiste: "Ditemi ancora qualcosa". Il vecchio gli sorrise, "Ora, disse, farei meglio a latrare. Ma tu prenderesti ancora questo come un segno di santità, è meglio che io ti dica le cose semplicemente.

"Meditare come Gesù è ricapitolare tutte le forme di meditazione che ti ho insegnato fino ad ora. Gesù è l'uomo cosmico. Sapeva meditare come la montagna, come il papavero, come l'oceano, come la tortora. Sapeva anche meditare come Abramo. Il suo cuore senza limiti amava persino i suoi nemici, i suoi carnefici: "Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno".

Praticava l'ospitalità verso i malati, peccatori, paralizzati, prostitute. La notte si ritirava a pregare, nel segreto, e là mormorava come un bambino "Abbà" che vuol dire "papà". Ti potrà sembrare irriverente chiamare "papà" il Dio trascendente, infinito, innominabile!

Ti potrà sembrare quasi puerile, eppure questa era la preghiera di Gesù, e in questa semplice parola "Abbà" era detto tutto. Il cielo e la terra diventavano terribilmente vicini. Dio e l'uomo formavano una cosa sola.

Bisogna, forse, aver chiamato nella notte "papà" per capire. ma può darsi che, oggi, queste intime relazioni di un padre e di una madre con il loro figlio non dicano più niente. Forse è una cattiva immagine.

È per questo che preferirei non dirti nulla, non usare immagini e aspettare che lo Spirito Santo metta in te i sentimenti e la conoscenza che erano in Cristo Gesù e che questo" Abbà "non rimanga a fior di labbra ma venga dal profondo del cuore. Quel giorno comincerai a comprendere che cosa è la preghiera e la meditazione degli "esicasti".

 

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Ed ora, va!

Il giovane rimase ancora alcuni mesi sul Monte Athos. La preghiera di Gesù lo trasportava negli abissi, talvolta al limite di una certa "follia". "Non più io vivo, è Cristo che vive in me", poteva dire con San Paolo. Delirio di umiltà, d'intercessione, di desiderio "che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla piena conoscenza della verità". Diventava Amore, diventava fuoco. Il roveto ardente non era più, per lui, una metafora, ma realtà: "Ardeva eppure non si consumava".

Strani fenomeni di Luce succedevano nel suo corpo. Certi dicevano di averlo visto camminare sull'acqua o di averlo sorpreso mentre stava seduto, immobile, a trenta chilometri da terra. Questa volta Padre Serafino latrò: "Basta, adesso va!2, e gli intimò di lasciare l'Athos e di ritornare a casa; là avrebbe visto che cosa restava delle sue belle meditazioni esicastiche.

Il giovane partì, ritornò in Francia. Lo trovarono piuttosto smagrito e non videro niente di molto spirituale nella sua barba lunga e sporca e nella sua aria trasandata. Ma la vita della città non gli fece dimenticare l'insegnamento ricevuto nel monastero.

Quando si sentiva troppo agitato per la tirannia del tempo, andava a sedersi come una montagna sulla terrazza di un caffè. Quando sentiva in se l'orgoglio, la vanità, si ricordava del papavero, "ogni fiore appassisce", e nuovamente il suo cuore si volgeva verso la Luce che non muore.

Quando la tristezza, la collera, il disgusto invadevano la sua anima, respirava profondamente, come un oceano, riprendeva fiato nel respiro di Dio, invocava il suo Nome e mormorava:"Kyrie eleison."

Quando notava la sofferenza degli uomini, la loro cattiveria, e sentiva la propria impotenza nel cambiare le cose, si ricordava della meditazione di Abramo. Quando era calunniato e di lui si diceva ogni sorta di malignità, era felice di meditare come il Cristo. Esteriormente, era un uomo come gli altri.

Non cercava di avere !l'aria di un santo". Aveva perfino dimenticato di praticare il metodo di adorazione esicastica, semplicemente cercava di amare Dio, istante per istante, e di camminare alla sua "Presenza".

Un pensiero per concludere

Non fuggiamo da noi stessi, ma incontriamoci e parliamo con l'essere che è in noi, cercando di comprendere ogni nostra tensione, sofferenza, paura e angoscia e portiamole nel cuore, dove si trasformeranno in armonia, felicità e amore.

Amare, significa volere che gli altri siano felici, è una qualità naturale della mente che però rimane limitata. Se ci mettiamo in contatto con il centro del cuore, scopriremo che è possibile volere veramente, oltre la nostra felicità, che anche gli altri siano felici, qualunque sia il rapporto che hanno con noi, noi abbiamo la potenzialità di inviare amore e serenità a tutti gli esseri viventi, anche a quelli che ci odiano, ci combattono o ci creano problemi e tensioni.

Manteniamo la mente aperta, cercando di vincere gli atteggiamenti pregiudiziali dell'ego e lasciamo spazio nel nostro cuore per sviluppare un amore puro e universale.

 

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