Se Dio è uno,
perché tante religioni?
Da Focus – scoprire e capire il mondo N° 123 gennaio
2003
www.focus.it
Nel nome di uno stesso Dio ebrei cristiani e musulmani pregano amano,
guardano al futuro, ma può accadere che si facciano anche la guerra. Negli
ultimi tempi si tende a rimarcare differenze piuttosto che somiglianze: molti
utilizzano luoghi comuni, scambiando tradizioni locali per vera religione, senza
risparmiarci qualche "leggenda metropolitana".
• A lezione di religione
Quasi mai, però, si fa riferimento alle dottrine originali di queste religioni,
che rivelano quanti siano i punti in comune fra le tre grandi fedi monoteiste,
che tutte insieme, rappresentano il credo di più della metà degli abitanti
della Terra. E fanno capire che sono così sostanziali da rendere assurda e
in-coerente qualsiasi pretesa di diffidare degli appartenenti ad altre religioni
o, peggio ancora, nel vedere in loro "infedeli" o nemici da
combattere.
• Il grande patriarca
La figura biblica che unisce più di tutte è quella di Abramo, il padre
spirituale e forse anche reale, di ebrei, cristiani e musulmani. Abramo fu il
grande pensatore che scopri l’evidenza diretta di un Dio unico. Fu il
fondatore del monoteismo. Dal suo seme, il testo biblico racconta, nacquero
Ismaele, dal quale discesero gli arabi o israeliti e Isacco, da cui vennero gli
ebrei e i cristiani. "Nella Bibbia si sancisce la fratellanza fra ebrei,
cristiani e musulmani" spiega Jean Louis Ska, teologo del Pontificio
istituto biblico.
Le parentele bibliche sono, in effetti, strette: la moglie di Abramo, Sara, non
può avere figli e allora prega una schiava, Agar, di concepire un bambino con
Abramo al posto suo. Una sorta di ricorso alla pratica moderna dell'utero in
affitto, perfettamente accettabile a quell’epoca. Nasce Ismaele e poi, per
intervento divino, già molto avanti nell'età, Sara riesce a partorire lei
stessa un figlio, Isacco, "Incomprensioni fra Sara e Agar, costringeranno
Abramo a mandare via di casa, a malincuore, la schiava con Ismaele. Andranno nel
deserto, dove, però, saranno sempre aiutati da un angelo mandato da Dio",
sottolinea Ska.
• Ismaele ed Isacco
E qui si scopre un secondo punto importante: nella Bibbia l'angelo rassicura
Agar dicendo che anche Ismaele fonderà un grande popolo di Dio. "E
vero" conferma Elia Ricetti, rabbino capo di Venezia "si tratta di due
patti. Distinti, ma di due patti". Quindi la Bibbia afferma che Dio fece un
patto con Abramo e la sua discendenza attraverso Isacco (gli ebrei e, in
seguito, i cristiani), ma che fece qualcosa di simile anche con Ismaele (i
musulmani).
La Bibbia ovviamente è prodiga di particolari sul primo dei due patti, dato che
racconta le vicende degli ebrei. Ma a margine della cronaca ebraica, ci sono
altri dati a favore della sussistenza dell'altro patto e di un rispetto
reciproco. "Isacco nella vita adulta va a fare visita al fratello Ismaele.
E poi Ismaele partecipa anche ai funerali di Sara e dello stesso Abramo. Quando
Ismaele muore, vengono profuse nella Bibbia le stesse parole che si usano nei
confronti dei giusti" spiega il rabbino.
L'importanza del patriarca è riconosciuta anche dal Corano, dove si racconta il
sacrificio compiuto da Abramo (senza specificare però il nome del figlio che il
padre, messo alla prova da Dio. stava per immolare).
• Abramo e la Mecca
La festa più importante dell’Islam, la ‘id aI-adha, ricorda proprio
il sacrificio di Abramo, simbolo della sottomissione a Dio, ma anche della
misericordia divina. Abramo e d
Ismaele, secondo il Corano, avrebbero insieme fondato la Kaaba della
Mecca (la struttura che conserva la Pietra Nera), a confermare lo strettissimo
grado di parentela fra ebrei (da cui si distaccarono i cristiani) e musulmani.
"Che si riflette anche dal punto di vista culturale" spiega Ska.
«Abramo, che a 75 anni, su chiamata del Signore, lascia la casa del padre (un
venditore di idoli) per fondare il popolo di Dio, è l'uomo che rompe i ponti
con il passato, è il superamento del mito di Ulisse e del concetto greco
dell'eterno ritorno. Con Dio non si torna indietro, si bruciano le navi e si va
avanti, verso il cambiamento. Con Abramo la religione diventa storia. Infatti se
prima la religione era legata a una dimensione mitica della creazione, in un
tempo indefinito, al di fuori di una dimensione storica, nella Bibbia Dio si
muove nella storia e, anzi, ne determina con gli uomini gli avvenimenti. Da modo
per affrontare eventi particolari. come il cambiamento delle stagioni, le
carestie o la morte, la religione diventa con Abramo pratica quotidiana.
portatrice di etica e di valori che tutti devono rispettare nella società.
Il fatto di dettare uno stile di vita e di proiettarsi nella costruzione della
storia umana, oltre al gusto per la scienza, accomuna le tre grandi religioni.
• Jesus Christ superstar
Un altro dato stranamente poco noto in Occidente è la popolarità di Gesù nel
mondo musulmano.
"Per i musulmani" chiarisce l'imam Yahya Sergio Yahe Pallavicini,
direttore della Comunità religiosa islamica italiana "Gesù è un profeta
molto particolare, perché ha portato (di persona) la parola di Dio a d
un livello analogo al Corano. Molti sapienti musulmani fanno un parallelo fra
l'eucarestia dei cristiani e la recitazione dei versi del Corano. Nell'Islam si
ritiene che Gesù sia il maestro del soffio divino della vita. Inoltre, il
Corano riconosce grande importanza a Maria di cui si sottolinea lo stato di
verginità".
E’ il ruolo di Gesù (lbn Mariam, cioè figlio di Maria), nato si a Betlemme,
ma sotto una palma e che per il Corano non è mai morto,
in quanto Dio lo avrebbe elevato in cielo da vivo, è
fondamentale per i musulmani. Anche loro credono nel giorno del giudizio, ma non
pensano che a giudicarli verrà il loro amato profeta Muhammad (Maometto). Chi
allora? A tornare sulla Terra sarà proprio il padre della religione cristiana:
"Il compito, è scritto nel Corano, sarà di Gesù" spiega
Pallavicini, che non vede in ciò alcuna contraddizione. "L'Islam riconosce
i profeti biblici della tradizione ebraica, la figura di Gesù e molti santi
cristiani. Siamo tutti discendenti di Abramo, ma ancor prima di Sem (altra
figura biblica), dal quale vengono i popoli semitici". Una discendenza
confermata anche dalla scienza: la moderna genetica ha dimostrato che ebrei e
palestinesi sono geneticamente uguali, hanno gli stessi antenati.
• Rivolte a tutti
La dimensione etica delle tre grandi religioni non deriva solo da un concetto di
parentela. più importante ancora è il loro carattere universale, cioè aperto
a tutti.
San Paolo, il grande promotore della religione cristiana e colui che prese le
distanze dal mondo ebraico. nella sua Lettera ai Romani e in altri documenti fa
riferimento ad Abramo con un numero di citazioni inferiori solo a quelle
dedicate a Gesù. E sottolinea che Abramo scoprì Dio ben prima del patto della
circoncisione (praticata poi anche dai musulmani) e che pertanto non è
necessario circoncidersi e far parte della stirpe ebraica per seguire il
Signore. "Ma va ricordato che la vocazione universalistica c'è sempre
stata fra gli ebrei" spiega il rabbino di Venezia. Universalistica è anche
la religione musulmana ("Che non fa alcuna discriminazione di razza o di
censo" ribadisce Pallavicini).
• Umili, schiavi, oppressi
Le tre grandi religioni non sono nate "aristocratiche" e hanno la
caratteristica di rivolgersi a tutti con una certa attenzione ai problemi
sociali. Quella ebraica è stata la religione di un popolo di schiavi, quella
cristiana inizia come speranza per gli oppressi, quella musulmana ha pure
fondato il suo successo fra gli umili.
"Non è un caso che uno dei cinque pilastri dell'islam sia la decima,
l'elemosina del 10 per cento del proprio guadagno per i bisognosi" spiega
Pallavicini. In pratica è l'altra faccia della carità cristiana o della
solidarietà ebraica. "Le tre religioni hanno in
comune la ricerca del bene, la pratica quotidiana della preghiera e un forte
interesse per la collettività".
E aggiunge Richetti: "Io trovo che in comune abbiamo il senso di
giustizia, il rispetto per i bisogni del prossimo, della vita, l'idea che tutti
sono figli di Dio, la sacralità della famiglia, ancora punto di appoggio
fondamentale per gli esseri umani". Ce n'è insomma a sufficienza per
pensare che le tre religioni, invece che per cementare l’odio reciproco,
possano servire per combatterlo.
La religione non è mai la causa
diretta dei massacri, ma un pretesto per farli.
"Non conosco un solo caso di vera guerra di religione. La storia dimostra
che la religione non è mai in primo piano fra le cause di una guerra". A
fare questa affermazione netta è Franco Cardini. ordinario di storia medioevale
all’Università di Firenze, studioso abituato a districarsi fra i nomi e le
date che scandiscono anche episodi poco edificanti, come assassini, massacri e
saccheggi, riconducibili a principi cristiani ed emiri musulmani. "A
seconda delle epoche, la guerra può avvalersi di contenuti più o meno sacri,
che appaiono però secondari rispetto a obiettivi sociali e politici"
spiega Cardini. "Questa è una verità che gli esperti conoscono, ma
difficile da divulgare perché poi si tende a semplificare, finendo così per
ribadire un concetto sbagliato".
Questo non significa però che la religione non sia una
componente importante nelle guerre: "Dato che morire per prosaici motivi
economici di conquista non è edificante, si offrono agli individui che devono
combattere motivi alti: la religione ovviamente ne contiene parecchi". Il
problema, semmai è che questo è avvenuto spesso con il consenso dei
rappresentanti ufficiali delle diverse religioni.. Ci sono poi, secondo Cardini,
guerre definite come laiche che arrivano ad avere forti connotati religiosi,
come la guerra civile spagnola. E guerre cosiddette religiose con contenuti
"laici": per esempio, il saccheggio dei lanzichenecchi di Roma nel
1507 o la battaglia di Lepanto, in realtà una lotta per il possesso di Cipro.
"Che le tre religioni di Abramo possano ammettere la guerra santa è
proprio da escludere" afferma Cardini. "Il tentativo di spacciare una
guerra come religiosamente pura è solo un alibi. Lo stesso Sant'Agostino non
parlava di guerra giusta. Voleva solo affermare il principio legale della
guerra, dove la responsabilità non riguarda più il singolo cristiano, ma i
governi. Per non parlare del
Jihad. che ha soprattutto a che fare con la lotta interiore, ma che continua a
essere tradotta come guerra agli infedeli".
• L'Europa copiò l'Islam
Nelle guerre, la religione avrebbe insomma il ruolo di "marcatore
culturale", così come l'amore per la patria, l'attaccamento alla tribù o
a una fazione politica, componenti per cementare l'azione del gruppo
combattente. Ma come la mettiamo con le crociate? Per Cardini neanche le
crociate erano pure guerre di religione. Venivano infatti definiti pellegrinaggi
armati, l'obiettivo era liberare Gerusalemme e non convertire i musulmani. Dello
stesso parere è Ahmad 'Abd al Walivv Vincenzo, storico della Università
Federico Il di Napoli. "Le crociate sono state un modo di aprirsi la strada
a oriente in un periodo in cui l'Europa era isolata e depressa economicamente.
Nel bene e nel male hanno messo in contatto due mondi, nemmeno troppo diversi,
che finirono per migliorarsi reciprocamente" dice Vincenzo. "Basta
ricordare lo sviluppo della medicina e della matematica, e che le università in
Occidente prima delle crociate non esistevano: nacquero sul modello delle scuole
musulmane", Autore di "Islam, l'altra civiltà", Vincenzo nega il
concetto stesso di guerre di religione. Partendo da una considerazione:
"Non ci sono mai state aree omogenee di culto", cioè definite in modo
rigido entro confini geografici. La situazione era molto più articolata.
Pensiamo al pluralismo religioso nell'impero romano, o a Baghdad, sede del
califfato prima del 1256: oltre ai musulmani, vi era il 30% di ebrei,
zoroastriani e cristiani con proprie amministrazioni religiose. Un modello
ripreso poi a Istanbul". Lo stesso impero ottomano si fondava sul
pluralismo religioso, per cui dai Balcani fino all'Ungheria esisteva una
prevalenza cristiana.
A Cordova durante l'occupazione araba, la biblioteca conteneva 4 milioni di
volumi e venne conservata la cultura greca: gli scambi fra ebrei, cristiani e
musulmani erano incentivati, così come in Sicilia con l'imperatore cristiano
Federico Il. "I mondi religiosi omogenei e contrapposti sono solo un’interpretazione
dei nostri tempi" afferma Vincenzo. "Una religione si può difendere,
ma non imporre con la forza".
Le analisi per il passato sono ancora valide per le guerre di oggi? Il libro
inchiesta "Il Dio della guerra" (A. Guerini) conferma la tesi della
religione come alibi.
Gli autori, Emanuele Giordana e Paolo Affatato, hanno pesato il fattore
religioso in Cecenia, Indonesia, nei Balcani e in altre zone di conflitti
etnico-religiosi.
• Bosniaci? No, musulmani
E anche il ruolo giocato dai luoghi comuni. "Per esempio, la definizione
dell'esercito bosniaco come "musulmano" nasce dalle corrispondenze
delle agenzie e dei quotidiani occidentali. L'esercito all'inizio era nazionale
e pluralista: un inviato del quotidiano francese "Le Monde" ci ha
detto che nei suoi articoli scriveva "esercito bosniaco", ma in
redazione a Parigi cambiavano in "esercito musulmano", dato che vedere
una guerra con la lente della religione era un modo per semplificare. Alcuni
luoghi comuni, continuamente ripetuti dagli organi d'informazione, hanno
certamente contribuito ad amplificare gli aspetti religiosi del conflitto".
Che restano però secondari nelle recenti guerre balcaniche, "In
realtà" ritengono gli autori "lobby nazionaliste hanno
strumentalizzato le diverse identità religiose".
• Armi e interessi
Pure in Cecenia. è la guerra a usare la religione e non viceversa: i
fondamentalisti islamici sono emersi di recente, in concomitanza con le
aspirazioni di potere di alcuni capi locali. Ma il loro generale, Khattab, ha
raccolto molti consensi sulle macerie della politica repressiva di Eltsin in
Cecenia fino al 1996. "La leadership locale pensava di controllare i
fondamentalisti, così come lo credeva l'esercito russo, che li strumentalizzava
per legittimare le sue violazioni dei diritti umani sulla popolazione".
Da Focus – scoprire e capire il mondo N° 123 gennaio
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